L’Esodo, in particolare il primo capitolo, apre con un’immagine densa e drammatica che getta le fondamenta per l’intera narrazione del riscatto d’Israele. Il tema della paura è subito centrale: la paura del faraone davanti alla crescente presenza e forza numerica del popolo d’Israele in Egitto. Questo timore, alimentato dalla percezione che gli Israeliti potrebbero un giorno allearsi con i nemici dell’Egitto, si trasforma in oppressione sistematica. Da una preoccupazione latente, nasce una politica repressiva che si incarna nell’imposizione del lavoro forzato e, più tardi, nella drammatica decisione di uccidere tutti i neonati maschi israeliti. Qui vediamo un passaggio fondamentale nel tessuto narrativo e teologico del testo: la paura individuale e collettiva genera oppressione, un meccanismo che i lettori sono invitati a osservare come una struttura del potere distorta e ripetitiva nella storia dell'umanità. Il faraone rappresenta qui il prototipo dell’oppressore, colui che, in preda alla propria paura, è disposto a sacrificare vite innocenti per mantenere il controllo. È la paura stessa che lo acceca, rendendo Israele da ospite utile a minaccia insopportabile.
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