
Le guerre europee del Settecento vengo chiamate “guerre dell’equilibrio”, perché la diplomazia europea, molto complessa e sempre all’opera, tende a mantenere l’equilibrio tra gli Stati, intervenendo ogniqualvolta qualche potenza minacci di romperlo. Spesso queste guerre si concludono non perché una parte prevalga militarmente sull’altra, ma perché i rappresentanti dei vari Stati trovano un accordo che accontenti tutti. Le trattative e lo spionaggio non si arrestano durante i conflitti. Il declino inarrestabile della Spagna rischia di rendere troppo forte Luigi XIV, che pretende il trono e tutti i possedimenti spagnoli per suo nipote Filippo. Il Re Sole aveva mostrato il suo pericoloso espansionismo già in guerre precedenti. Sicché quasi tutti i Paesi europei si schierano a favore dell’altro pretendente all’eredità spagnola, ovvero Carlo d’Asburgo d’Austria figlio dell’imperatore Leopoldo. I successi militari dell’Austria e il rischio che, essendo morti alcuni suoi parenti, Carlo possa diventare anche padrone dei territori asburgici, spinge le potenze europee ad accettare una spartizione in cui il francese diventa re di Spagna e l’austriaco incamera i possedimenti spagnoli in Europa (compresi Napoli e Milano). Chi si avvantaggia realmente da tutte le guerre dell’equilibrio è l’Inghilterra, che lascia che gli Stati assoluti litighino per qualche trono o qualche pezzo d’Europa senza significato, mentre essa conquista il resto del mondo. La pace inglese della guerra successione spagnola infatti è diversa dalle altre paci. L’Inghilterra ottiene vantaggi strategici, coloniali e commerciali (ad esempio il possesso di Gibilterra). La strategia inglese, che porterà Londra ad affermarsi quale prima potenza mondiale indiscussa, segue una logica diversa perché è espressione del Parlamento puritano affaristico e antifeudale, mentre la politica estera degli altri Paesi risente della mentalità anacronistica dei sovrani assoluti e di una nobiltà preindustriale.