
In Ghana c’è un argomento che mette tutti d’accordo: il calcio. Ne parlano ovunque, soprattutto i tassisti, mentre Kumasi scorre fuori dal finestrino e il matrimonio si avvicina.
Il giorno prima della cerimonia attraversa la città: la visita al museo e al forte di Kumasi racconta la storia dell’impero Ashanti; il mercato coperto, nel food quarter, è un intreccio di voci, odori e pentole sul fuoco. Poi il barbiere, un gesto semplice che diventa incontro. Qui conosco un ragazzo che mi chiede di fare un video: mi parla di un amico che non ce l’ha fatta lungo la rotta del deserto e del Mediterraneo, e lancia un messaggio chiaro ai più giovani — partire sì, ma con competenze e attraverso canali regolari.
Il giorno del matrimonio arriva con i canti gospel della chiesa battista: voci, battiti di mani, emozione collettiva. È una festa intensa, condivisa, dove la musica accompagna la promessa e tiene insieme fede, comunità e vita quotidiana.
Dopo la cerimonia si riparte: da Kumasi ad Accra, questa volta su un pullman statale, più lento e comodo, ma con un piccolo imprevisto nel finale. Poi l’aeroporto, l’attesa, il volo per Roma. Il viaggio si chiude, ma restano i suoni, le parole, gli incontri. E la consapevolezza che questo matrimonio è stato anche un modo per attraversare mondi diversi e sentirli, da dentro.