Modem, appuntamento quotidiano (dal lunedì al venerdì) in onda dal 2000, dedicato ai principali temi d’attualità, che vengono analizzati, approfonditi e contestualizzati principalmente attraverso l’apporto ed il confronto di ospiti in diretta.
Le notizie scorrono veloci, si sviluppano e si perdono, sono abbondanti. Modem, ogni mattina, sceglie e propone un tema di sicuro interesse. Lo racconta con uno stile diverso da quello dell'attualità. Cerca e trova interlocutori di qualità per spiegare e dibattere ciò che è successo e ciò che potrebbe succedere. È la trasmissione che dice i "perché" e aiuta a decodificare gli eventi destinata a tutti gli interessati ad andare oltre la notizia del giorno e che desiderano approfondire in maniera immediata il tema prescelto tramite dibattiti e interviste in diretta, reportage, collegamenti, approfondimenti, schede interne.
Modem offre regolarmente anche delle rubriche.
Modem Evento: una serata-dibattito e di incontro con il pubblico.
Modem Giovani: su argomenti che riguardano direttamente il mondo giovanile con tra gli ospiti anche i ragazzi.
Modem Incontro: non un dibattito, ma un'intervista con un solo ospite.
Una puntata al giorno, alle 08.30, per 5 giorni la settimana, da settembre a metà giugno.
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È terminata in sordina, come era iniziata, a Belem in Brasile, la trentesima conferenza Onu sul clima. Lo scorso week-end i lavori si sono chiusi con qualche nuova promessa, ma non con quel passaggio all’azione che il presidente brasiliano Lula aveva auspicato. E soprattutto, anche a Belem è fallito l’ennesimo tentativo di tracciare una strada, un calendario, per l’abbandono delle energie fossili. Anzi, da qualche anno l’ “oil & gas” sembra aver trovato un nuovo vigore. Che ruolo giocano le compagnie petrolifere in una transizione energetica tanto ineluttabile quanto incapace di seguire il ritmo dettato dalla crisi climatica?
Ne discutiamo con :
Demostenes Floros, ricercatore senior al Centro Europa Ricerche di Roma, economista, si occupa di geopolitica dell’energia
Laura Greco, presidente dell’Ong “A Sud”, ha partecipato alla Cop30
Antonio Bontempi, ricercatore all’Università autonoma di Barcellona, ingegnere e geografo, si occupa di economia ambientale
È appena partita la prima campagna nazionale di prevenzione e sensibilizzazione contro la violenza domestica, sessuale e di genere, e nell’odierna Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne Modem dedica la puntata a questo tema. A fare da sfondo, i 21’127 reati di violenza domestica registrati in Svizzera nel 2024, in crescita rispetto all’anno precedente, o i 27 femminicidi già perpetrati quest’anno, anch’essi in crescita. Violenza di genere che può essere fisica, sessuale, psicologica, anche economica. Una piaga sociale che colpisce perlopiù le donne, ma non solo, e si manifesta con preoccupante frequenza anche all’interno della famiglia, dell’economia domestica o di un rapporto di coppia esistente o sciolto.
Intervengono:
Giorgia Bazzuri, Responsabile della comunicazione per la Svizzera Italiana della campagna “16 giorni di attivismo contro la violenza di genere”
Mia Wojcik, avvocata e nel Comitato dell’Associazione Consultorio e Casa delle Donne
Marco Castoldi, Capo del Servizio Violenza Domestica della Polizia Cantonale Ticinese
Pace o Resa? Titolavano più o meno così i giornali e i portali di mezzo mondo all’indomani delle indiscrezioni sui contenuti del piano in 28 punti messo sul tavolo da Donald Trump per porre fine al conflitto tra Russia e Ucraina. Un accordo che prevede in particolare che l’Ucraina ceda il controllo delle regioni di Donetsk e Lugansk, comprese le aree non ancora occupate dai russi, e rinunci alla Crimea, che dimezzi il proprio esercito e rinunci alle armi a lungo raggio e soprattutto alle ambizioni di adesione alla Nato e questo in cambio a garanzie di sicurezza da parte americana.
Un piano di pace che a Kiev è risuonato un po’ come un ultimatum e a cui fa da sfondo un’altra cruciale domanda: continuare la guerra a costo di ulteriori perdite umane o accettare un accordo controverso, che cede territori ma offre accordi di sicurezza e sostegno economico? E in tutto questo che ruolo può o potrebbe/dovrebbe giocare l’Europa?
Ne parliamo con
Davide Maria De Luca, collaboratore RSI da Kiev
Eleonora Tafuro, analista dell’Osservatorio Russia, Caucaso e Asia centrale dell’Istituto per gli studi di politica internazionale
Antonio Missiroli, docente di Sicurezza europea a Sciences Po Parigi, già assistente del Segretario generale della NATO
Dopo esserci occupati dell’Iniziativa per il futuro, diamo spazio all’altro oggetto in votazione a livello federale a fine mese: l’iniziativa popolare denominata “Per una Svizzera che si impegna” (l’Iniziativa Servizio civico). Il testo propone una vera e proprio riforma: introdurre un obbligo di servire per tutti, uomini e donne, un servizio di milizia riconosciuto sul modello di quello militare, da svolgere non necessariamente nell’esercito, ma a favore della collettività, in ambito sociale, sanitario o ambientale per esempio. In questo modo si favorirebbe la coesione sociale e si garantirebbe un’uguaglianza di trattamento, di doveri e di opportunità a donne e uomini. All’esercito e alla protezione civile verrebbero comunque garantiti gli effettivi necessari per funzionare. E’ un’iniziativa promossa da numerosi politici provenienti da praticamente tutti i partiti, anche da donne di sinistra, e ha il sostegno anche di militari, oltre che di rappresentanti della società civile. Ma per il Consiglio federale e per la maggioranza del Parlamento va troppo oltre. Ne risulterebbero soprattutto costi elevati per la Confederazione e i Cantoni, e anche l’economia ne risentirebbe in modo significativo. Un servizio civico promuove veramente l’uguaglianza o penalizza ulteriormente le donne? Indebolisce l’esercito o militarizza la società? Favorisce l’impegno di ognuno a favore della collettività oppure introduce un volontariato forzato in ambiti già mal retribuiti?
Ne discuteremo con
Jonathan Binaghi, ufficiale ed ex guardia pontificia, del Comitato d’iniziativa
Barbara Di Marco Christoffel, del collettivo “Io l’8”
Michele Moor, presidente della Società svizzera degli ufficiali, membro dell’Alleanza sicurezza svizzera
Camilla Tartaglia, dei giovani Verdi liberali
L’annuncio della morte di Francisco Franco il 20 novembre di 50 anni fa è uno spartiacque per la Spagna. Il regime franchista, al potere dalla fine della guerra civile, si avvia al tramonto dopo quasi quarant’anni al potere. Il paese torna una monarchia e dopo le prime elezioni si arriva nel 1978 alla nuova costituzione. La Spagna, per decenni ai margini del continente comincia così il suo avvicinamento all’Europa, che culmina nell’adesione alla Comunità europea nel 1986.
Dopo mezzo secolo, il paese continua ad interrogarsi su quanto la transizione democratica e la riconciliazione nazionale siano stati un successo, e su quanto pesi ancora sulle vittime la giustizia negata. Una discussione che a pochi anni dall’introduzione di una nuova Legge sulla “Memoria Democratica” coinvolge anche la politica.
A Modem intervengono:
Giulia Danieli, giornalista collaboratrice RSI dalla Spagna
Giulia Quaggio, professoressa di Storia culturale, Università Complutense di Madrid
Steven Forti, professore di Storia contemporanea, Università Autonoma di Barcellona
Bassi salari in Ticino e le sue conseguenze, che si chiamano anche aumento della povertà e delle spese statali. L’argomento è tornato sui banchi del Gran Consiglio, chiamato a pronunciarsi su un’iniziativa popolare Mps, insieme ad altri atti parlamentari, che chiedeva maggiori controlli per contenere il fenomeno del dumping salariale. Sull’iniziativa dovrà comunque esprimersi la popolazione ticinese, verosimilmente il prossimo 8 marzo.
A fare da sfondo, alcune domande: a cosa serve un’economia fatta anche di stipendi che impongono il ricorso agli aiuti statali? Il mercato del lavoro in Ticino è davvero diventato un “Far West”? Un aumento dei controlli servirebbe a qualcosa?
Ne discutiamo con:
Pino Sergi, granconsigliere Mps, promotore dell’iniziativa
Stefano Modenini, direttore Aiti
Confrontato con la peggior siccità degli ultimi 50 anni, l’Iran le sta provando tutte: dalla preghiera in massa perché piova, al razionamento dell’acqua, fino a provare a fare Dio, inseminando le nuvole per indurre artificialmente precipitazioni.
Le autorità di Teheran hanno reso noto che domenica la Repubblica islamica ha effettuato un volo di inseminazione delle nuvole nel bacino del lago Urmia”, il più grande dell’Iran situato nel nord-ovest del Paese, in gran parte prosciugato e trasformato in un vasto letto di sale a causa della siccità.
L’Iran l’anno scorso aveva annunciato di aver sviluppato una propria tecnologia per questa pratica, ora si spera che faccia effetto, visto che se non piove entro la fine dell’anno, la capitale Teheran dovrà essere evacuata, così ha detto lo stesso presidente iraniano Masoud Pezeshkian. Si parla di oltre 10 milioni di abitanti.
Ma cosa sta succedendo in Iran? Cosa comporta per la stabilità interna del Paese questa emergenza idrica? Ma cosa sta succedendo in Iran? Cosa comporta per la stabilità interna del Paese questa emergenza idrica?
L’inseminazione o “bombardamento” delle nuvole – in inglese il “cloud seeding” - è efficace? A quali conseguenze può portare? E, ancora, in quali modi l’uomo prova ad intervenire su tempo e clima immettendo sostanze nelle nuvole?
Ne parliamo oggi a Modem in una puntata che partirà, quindi dalla situazione iraniana, per poi estendersi ad aspetti prettamente scientifici
Con noi tre ospiti:
Raffaele Mauriello, storico dell’Università Allameh Tabataba’i di Teheran e della Sapienza di Roma
Vincenzo Levizzani, fisico dell’atmosfera e climatologo, autore di vari scritti, tra i quali “Il libro delle nuvole”
Gabriel Chiodo, ricercatore, si occupa di dinamica del clima e interazioni chimica-clima
Un obbligo (per l’autorità ecclesiastica) di denuncia al Ministero pubblico dei reati commessi da membri del clero. Oggi in Ticino nella Legge sulla Chiesa cattolica questo obbligo non c’è e lo si vuole introdurre. E’ una proposta di revisione della Legge – di cui si occupa lunedì il Gran Consiglio - che parte da un’iniziativa parlamentare del 2024 di Giuseppe Sergi e Matteo Pronzini, deputati del Movimento per il socialismo. Proposta nata come reazione a uno dei casi più gravi di abuso emersi in questi anni in Ticino, quello che ha coinvolto l’ex docente e cappellano del collegio Papio di Ascona. Un caso che ha fatto parlare molto anche perché dal momento in cui la Curia era venuta a conoscenza dei fatti al momento della denuncia al Ministero pubblico sono passati anni.
La necessità di introdurre nella Legge sulla Chiesa l’obbligo di denuncia nasce per evitare ritardi di questo tipo. Ma nel suo iter il testo dell’iniziativa è stato cambiato. Prima dal Governo e poi dalla Commissione parlamentare Costituzione e leggi. Oggi la Commissione propone al Gran Consiglio una versione che si scontra per certi aspetti – secondo la Diocesi – con il diritto canonico (che pure prevede un obbligo di denuncia) e con i diritti costituzionali fondamentali, come risulta dal rapporto della stessa Commissione (pp 22-23 https://www4.ti.ch/fileadmin/POTERI/GC/allegati/rapporti/29495_8570%20R.pdf). La modifica di Legge porta quindi a riflettere sul rapporto tra il quadro normativo ecclesiastico e il diritto soprattutto penale, e più in generale sui rapporti tra Chiesa e Stato.
Ne discuteremo con:
· Mons. Alain De Raemy, Amministratore apostolico della diocesi di Lugano
· Simona Genini, granconsigliera PLR, che fa parte della Commissione Costituzione e leggi
· Vincenzo Pacillo, professore di diritto ecclesiastico e canonico all’Università di Modena (ha insegnato anche a Lugano), autore del libro “Stato e Chiesa cattolica nella Repubblica e Cantone Ticino. Profili giuridici comparati”
Bambini e ragazzi con bisogni educativi particolari, disturbi dell’apprendimento, alta sensibilità o ancora deficit dell’attenzione. Sigle e definizioni che fino a dieci, quindici anni fa erano forse confinate in ambiti specialistici, oggi sono entrate nel linguaggio comune, nelle aule scolastiche, nelle conversazioni tra genitori.
I numeri parlano chiaro: nell’ultimo decennio abbiamo assistito a un’impennata delle segnalazioni e delle diagnosi. E di fronte a questo dato, la domanda che aleggia, quasi come una provocazione, è inevitabile: “Siamo diventati tutti un po’ più neurodivergenti?”
Proprio ieri in Ticino si sono festeggiati i primi 50 anni della Scuola speciale cantonale. Nel 1975 si avviavano i primi passi nella direzione dell’inclusione e dell’integrazione delle diversità nella scuola; noi vogliamo concentraci sull’evoluzione della didattica inclusiva che oggi comprende anche una serie di disturbi, o forse meglio dire “neurodivergenze”, che vengono sempre più diagnosticate.
E la domanda di fondo è: “siamo di fronte ad un’epidemia di disturbi del neurosviluppo, magari accentuata dallo stile di vita contemporaneo, oppure stiamo imparando a dare un nome a differenze nel funzionamento del cervello che sono in fondo sempre esistite?”
Ne parliamo con tre ospiti:
Mattia Mengoni, capo sezione della pedagogia speciale del Canton Ticino
Fabiano Frigerio, capo gruppo del sostegno pedagogico per le scuole medie, regione Mendrisiotto
Giuseppe Foderaro, Responsabile dell’unità operativa di neuropsicologia di Rete Operativa
Il 30 novembre si vota sull’ “Iniziativa per il futuro”, proposta dalla Gioventù socialista. Nel testo si chiede di finanziare la lotta al cambiamento climatico con una nuova imposta federale sulle eredità e le donazioni, applicando alla parte che supera i 50 milioni di franchi un’aliquota del 50 percento .Per i promotori, questa imposta frutterebbe 6 miliardi di franchi all’anno, vincolati a misure per ridurre le emissioni di gas serra. A essere toccati sarebbero i più ricchi, ritenuti responsabili di un impatto ambientale maggiore. Inoltre, l’imposta ridurrebbe la disuguaglianza dei patrimoni .Secondo i contrari una simile imposta porterà invece alla partenza di persone facoltose dalla Svizzera e metterà in pericolo il futuro di molte aziende familiari, tanto che le entrate fiscali diminuiranno invece di aumentare. La Svizzera sarebbe poi meno attrattiva per attirare persone e investimenti dall’estero.
A Modem ne discutono:
Giovanna Pedroni, presidente Giovani del Centro Ticino
Yannick Demaria, membro di comitato Gioventù Socialista Ticino
Era il 13 novembre 2015, a Parigi, l’incubo durò 5 ore: un commando armato di terroristi colpì allo Stade de France, nei bistrot, per finire con la terribile carneficina del Bataclan, la sala dove 90 persone furono uccise mentre assistevano a un concerto rock.
Dopodomani la Francia si fermerà per ricordare il peggiore attentato di matrice islamista in Francia, che costò la vita in totale a 130 persone, centinaia furono i feriti. Tra i terroristi l’unico sopravvissuto fu Salah Abdeslam, processato e condannato all’ergastolo senza possibilità di sconti di pena.
Nella puntata di Modem andremo allora in Francia, per vedere come il Paese si prepara a ricordare i fatti di 10 anni fa, ma cercheremo anche di capire se e com’è cambiata la minaccia terroristica di matrice islamica in Francia, e in tutta Europa, Svizzera inclusa. Un dato fra tutti che emerge: la radicalizzazione è sempre più giovane e viaggia sempre più sui social…
Ne parliamo con:
ANNALISA CAPPELLINI, giornalista, collaboratrice RSI dalla Francia
LORENZO VIDINO, direttore del Programma sull’Estremismo presso la George Washington University
CHIARA SULMONI, analista e presidente di Start Insight di Lugano, think tank che si occupa di radicalizzazione
Per assicurare il ricambio generazionale occorre una media di 2.1 figli per donna, livello che per la Svizzera si allontana sempre più. Secondo i dati definitivi per il 2024, diffusi ieri dall’Ufficio federale di statistica, è stato registrato un nuovo minimo storico con 1.29 figli per donna. Sempre meno figli con genitori sempre meno giovani, aumenta invece il numero di chi non desidera avere figli.
Una situazione da inverno demografico che colpisce praticamente tutta l’Europa. Alla radice del fenomeno un complesso intreccio di fattori economici, sociali e culturali che rendono difficile rovesciare un’evoluzione in corso da anni. Evoluzione che a sua volta si fa sentire su economia società e cultura. Per facilitare la genitorialità esistono varie iniziative a livello pubblico e di aziende, iniziative che non sembrano finora in grado di rovesciare il calo delle nascite.
Intervengono sul tema:
Tiziana Marcon, pedagogista e Responsabile di “Progetto genitori” associazione attiva in Ticino a livello cantonale
Giuseppe Cappellari, economista di Demografik, centro studi e consulenze sui cambiamenti demografici a Basilea
Ivano Dandrea, membro di comitato di Coscienza Svizzera e CEO del Gruppo Multi
In Brasile si apre oggi la 30esima conferenza Onu sul clima. Si svolge a Belem, in Amazzonia, “polmone del mondo”; giunge a 30 anni dal Vertice della Terra di Rio che diede inizio alla lotta internazionale contro il riscaldamento climatico e a 10 anni dall’accordo di Parigi che tracciò la via per affrontare il problema.
Insomma, luogo e anniversari avrebbero potuto farne un appuntamento importante; verosimilmente ancora una volta non lo sarà: la comunità internazionale resta distratta da altre priorità.
Cosa aspettarsi allora da questo vertice? E che cosa dire di una transizione energetica certamente avviata e che ha raggiunto risultati importanti, ma anche confrontata con mille ostacoli e rallentata da numerosi fattori, ultimo in data il ritorno alla Casa Bianca del “negazionista climatico” Trump?
Ne discutiamo con:
Emiliano Guanella, giornalista in Brasile
Emanuele Bompan, geografo, direttore responsabile della rivista Materia Rinnovabile
Barbara Antonioli Mantegazzini, economista, professoressa USI e SUPSI, vicedirettrice dell’Istituto di ricerche economiche
La vita e l’esperienza di due alti funzionari dell’amministrazione pubblica ticinese, da poco in pensione. Roland David e Giovanni Maria Zanini, per anni responsabile della sezione forestale, il primo, e farmacista cantonale, il secondo. A loro modo si sono presi cura dei cittadini del canton Ticino e del loro territorio, uno nell’ambito sanitario e l’altro in quello ambientale. Un doppio incontro per ripercorrere la loro carriera e per scoprire anche i punti in comune tra queste due professioni. Non per nulla Zanini e David si erano ritrovati alla fine degli anni 70’ sugli stessi banchi, durante la loro formazione universitaria: chi studia farmacia segue gli stessi corsi – botanica e biologia esempio - di chi studia ingegneria forestale. Da entrambi gli ospiti un messaggio anche per chi sta per scegliere il proprio futuro formativo e professionale: “abbiamo svolto il lavoro più bello del mondo”.
Una cifra che fa discutere quel 34% di morti in più sulle strade svizzere registrato negli ultimi 5 anni (250 i decessi in seguito a incidenti stradali nel 2024). L’aumento è segnalato dall’Upi, l’Ufficio per la prevenzione degli infortuni, che parla di una Svizzera in controtendenza sul piano europeo e chiede alla politica maggiore incisività.
Le misure efficaci ci sono – afferma l’Upi – la volontà politica di applicarle c’è forse meno; e l’obiettivo, fissato a Berna, di ridurre a 100 entro il 2030 i morti sulle strade del Paese rischia di mai concretizzarsi.
Se guardiamo ai decessi sulle strade in rapporto alla popolazione o ai chilometri percorsi, la Svizzera resta un buon allievo in Europa, ma qualcosa apparentemente ancora non va. Cosa? Quali le sfide? Dove non si agisce abbastanza? O forse tutto sommato va bene così? Ne discutiamo con:
· Emanuele Giovannacci, consulente tecnica del traffico UPI (quicklink)
· Renato Pizolli, servizio comunicazione, media e prevenzione Polizia Cantonale (telefono)
· Bruno Storni, presidente Ata sezione Ticino, consigliere nazionale PS (quicklink?)
· Simone Gianini, presidente Acs, consigliere nazionale Plr (studio)
Il 111esimo sindaco di New York è un uomo di 34 anni, musulmano chiita, di origine indiana, nato in Uganda e politicamente un socialista, in corsa per il partito democratico. È lui il nuovo sindaco della capitale finanziaria del mondo, Zohran Mamdani, il suo nome. Si è imposto con un programma che in gran parte mira a ridurre l’impatto del costo della vita e a migliorare i servizi pubblici. Alle urne non si è andati solo a New York. Si è votato in diverse altre città e soprattutto lo si è fatto anche in due Stati, la Virginia e il New Jersey. E anche qui si imposto il partito democratico, ad imporsi due donne, dal profilo più centrista rispetto al nuovo sindaco di New York, saranno loro le nuove governatrici di questi due stati della Costa Est del paese. E anche questa non è una buona notizia per Donald Trump, al suo primo test elettorale, un anno dopo la sua vittoria su Kamala Harris e il suo ritorno alla Casa Bianca.
Ne discuteremo con:
Elisa Volpi, docente di scienze politiche alla Franklin University di Lugano
Mattia Diletti, professore di sociologia all’Università della Sapienza di Roma, specialista di politica statunitense
Andrew Spannaus, giornalista e analista, docente di storia economica degli Stati Uniti alla Cattolica di Milano
Grande festa, naturalmente faraonica, per l’inaugurazione del Grand Egyptian Museum, il nuovo museo egizio del Cairo. Un’opera attesa da decenni e chiamata a simboleggiare una nuova fase della storia egiziana. Questo, mentre l’Egitto deve fare i conti con difficoltà economiche, sociali e politiche. L’Egitto rimane la principale nazione araba con 119 milioni di abitanti, ma la sua influenza internazionale sembra essersi ridotta dopo che le proteste di piazza del 2011 avevano fatto cadere l’allora presidente Hosni Mubarak. Il potere era in seguito passato ai fratelli musulmani di Mohamed Morsi e poi, dopo un colpo di stato, all’attuale presidente Abdel Fattah Al Sisi, in carica dal 2014. Il suo governo ha garantito stabilità al paese, ma al prezzo di una repressione politica ed una stagnazione economica. A Modem ne discutiamo con:
Costanza Spocci, giornalista di Radio3 Mondo e già corrispondente dal Cairo
Giuseppe Dentice, analista dell’Osservatorio sul Mediterraneo di Roma
Navi schierate, tensione alle stelle, sanzioni, crisi umanitaria, accuse di narcotraffico, petrolio. Al centro di questa tempesta perfetta il Venezuela, paese di immense ricchezze naturali protagonista di un intenso braccio di ferro geopolitico con gli Stati Uniti di Donald Trump. Con il pretesto della lotta alla droga, gli Stati Uniti hanno condotto negli ultimi mesi una serie di attacchi letali a navi venezuelane accusate di trasportare stupefacenti e di farlo sotto il controllo del presidente venezuelano Nicolas Maduro in persona, considerato dal presidente americano un “narcoterrorista”. E la prossima settimana dovrebbe giungere nel mar dei Caraibi anche la USS Gerald Ford, la più grande portaerei della marina statunitense con annesse altre navi da guerra e armi da rivolgere contro lo stato sudamericano. Si parla del più grande dispiegamento navale nella regione dalla crisi missilistica di Cuba nel 1962. Uno schieramento ritenuto sproporzionato per la guerra al narcotraffico e ci si chiede se dietro questa retorica non ci sia piuttosto la volontà statunitense di riprendere le redini del cosiddetto “Cortile di casa”. Con quale impatto sul popolo venezuelano e sull’intero equilibrio nel Sud America?
Ne parleremo con:
Emiliano Guanella, collaboratore RSI dal Sud America
Marco Mariano, professore di Storia del Nord America all’Università di Torino
Vincenzo Musacchio, criminologo associato a due istituti di ricerca negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, che si occupano di criminalità organizzata e anticorruzione
Oltre cento morti, quasi la metà bambini, molte donne… Martedì sera Israele ha sferzato un violento attacco contro la striscia di Gaza. Una rappresaglia contro le azioni di Hamas, accusata da Tel Aviv di aver ucciso un soldato e di barare sulla restituzione dei cadaveri degli ostaggi. Una rappresaglia che non significa – hanno tenuto a sottolineare soprattutto gli americani, promotori della tregua in vigore da inizio ottobre - che la guerra è ricominciata. Il presidente degli Stati uniti Donald Trump ha in persona ha precisato che, dopo l’attacco, il cessate il fuoco nella regione è ora tornato in vigore. Ma Trump ha anche affermato che Israele aveva il diritto di rispondere, dopo l’uccisione di un suo soldato da parte di Hamas. Ma Hamas ha preso le distanze da quanto accaduto, sostenendo di non avere contatti né controllo delle cellule nel sud. Cioè: “Non siamo stati noi”. E se – se, precisiamo - non è stato Hamas, allora è stato qualcun altro. Ma quindi, quanto è forte la presa di Hamas sulla Striscia? Chi sono i gruppi armati antagonisti di Hamas con i quali, da quando è entrato in vigore il cessate il fuoco, è iniziato da parte della stessa Hamas, un regolamento di conti? Chi li sostiene, chi ha interesse che si rafforzino? Ma, anche: come si sta oggi a Gaza? Cosa significa per la popolazione un attacco così devastante come quello di alcuni giorni fa? E gli aiuti che Israele aveva promesso di far entrare, arrivano? Insomma, qual è la situazione dentro a Gaza?
Ne parliamo con:
Naima Chicherio – giornalista RSI
Giorgio Monti - medico di Emergency, attivo a Gaza
Francesca Caferri – giornalista de La Repubblica da Israele
L’ultimo loro incontro risale a sei anni fa, quando Donald Trump era al suo primo mandato alla Casa Bianca. Domani il presidente cinese Xi Jinping e l’omologo statunitense si riparleranno in Corea del Sud, a margine del vertice Apec. Un momento chiave nelle relazioni tra le due prime economie e potenze mondiali. La domanda di molti è se metterà un termine a una guerra commerciale che da mesi semina disordine a livello globale. Sia da Washington che da Pechino giungono segnali moderatamente incoraggianti.
Ne parliamo con:
Michelangelo Cocco, giornalista e analista, da Shangai
Mario del Pero, professore di Storia internazionale e storia degli Stati Uniti a Sciences Po, Parigi
Roberta Rabellotti, professoressa di economia all’università di Pavia, esperta di innovazione e sviluppo economico