È bene rivolgere l’attenzione su altre forze vitali operanti nella Torino della Ricostruzione, seguendo la loro ricerca ancora confusa, vibrante di tendenze astratteggianti, che impera tra il 1948 e il 1950. Quell’astrazione che parte dal dato figurativo, e lo deforma sino a togliere alla rappresentazione ogni carattere di riconoscibilità, va delineandosi attraverso una chiara presa di coscienza in favore di altri dati compositivi di partenza: le forme e i colori puri del concretismo. La dicotomia tra le correnti realiste e astrattiste in altre città italiane è polemicamente vigorosa, mentre a Torino la questione postbellica del “realismo nuovo” non incide in modo significativo. Il caso unico è forse quello di Piero Martina un neorealista sui generis, mentre Carlo Levi, l’altro protagonista piemontese di un certo realismo impegnato, trasferitosi a Roma, non ha più un'influenza attiva, pur serbando vivi i contatti con l’ambiente torinese. L'affermazione a Torino dell’astrattismo di matrice concreta, allo scadere del decennio Quaranta, ha avuto un importante precedente in termini di apertura. Nel 1935, presso lo studio di Casorati e Paulucci – che hanno proseguito dal 1938 un’attività espositiva indirizzata ad artisti di punta con la galleria La Zecca – è stata ospitata la Prima mostra collettiva d’arte astratta italiana che ha presentato Bogliardi, De Amicis, D’Errico, Fontana, Ghiringhelli, Licini, Melotti, Reggiani, Soldati, Veronesi. Con i Sei e il gruppo futurista, prima, e con la non figurazione incalzante di Spazzapan, poi, comincia a prender forma in città quella moltitudine di personalità pronte a porsi, seppur con enunciati mutevoli, attorno a una posizione di netta avanguardia contro la pittura provinciale tanto cara al pubblico torinese. Se, per contro, il polo gravitazionale della scuola di Casorati “da un lato aveva creato una terra concimata, pronta a recepire, stratificazione di cultura altezzosa se vogliamo, ma attenta aveva pure lasciato in eredità una figurazione latente una scansione dell’oggetto che verrà dai torinesi lentamente e sofferentemente decantata”. A queste riflessioni di Giuliano Martano se ne aggiungono altre utili a completare il quadro della multiforme identità torinese, alle prese con la ricostruzione, dalla quale è assai complicato far evolvere quegli embrioni di modernità che, una volta assestatisi con la visione casoratiana, di fatto tendono a frenare le spinte delle nuove generazioni. “Fu infatti, scrive Galvano, il movimento neorealista diventato Fronte Nuovo a catalizzare in Torino (dove, come si è visto, fu presente dal 1947 col Premio Torino) le impazienze dei più giovani e il non celato risentimento di Spazzapan. Difendere Casorati contro quell'atteggiamento sarebbe stato di fatto facile se ci fosse stata in lui la volontà di riconoscere la sua discendenza, almeno intellettuale, in chi al Fronte Nuovo si opponeva in nome di un astrattismo rigoroso, ma i legami colla critica neonaturalista e la diffidenza per l'astrattismo, verso il quale invece Spazzapan si volgeva, resero questo compito difficile per non dire impossibile”. Ragione non ultima della pregnanza dell’astratto a Torino è la presenza di alcuni giovanissimi concretisti assunti all’Accademia Albertina di Belle Arti come Filippo Scroppo (assistente di Casorati) e Mario Davico (assistente di Paulucci). E proprio attorno al concretismo si formano gli allievi più promettenti di Casorati, i fratelli Ezio e Aurelia Casoni, e quelli di Paulucci: Piero Ruggeri, Antonio Carena e Sergio Saroni. Attraverso alcune iniziative espositive torinesi è possibile definire con più precisione le tappe di sviluppo dell’astrattismo in direzione concreta tra il 1949 e il 1952. Gli antagonismi del Premio Torino sembrano superati nel 1949, quando si tiene a Palazzo Carignano, sotto l’egida dell’Unione Culturale (istituzione polivalente espressione dell’intellettualità di sinistra della città, sorta nei mesi...
Show more...