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LE RECENSIONI IGNORANTI
BLACKCANDY PRODUZIONI
72 episodes
1 week ago
“Nella vita di ognuno arriva prima o poi quel momento in cui
siamo troppo logorroici, troppo felici, troppo paranoici o lamentosi anche per chi ci ha sempre
voluto bene. Di certo non sono io quella che si sostituisce a loro, non ne ho né tempo né voglia e poi
chi vi conosce, ma con questo podcast vorrei trovare una soluzione salvifica che ovvia al problema
di dover tediare amici e parenti. I libri sono un mezzo incredibile se usati con criterio: possono
risollevare gli animi, gettare nello sconforto, accendere l’adrenalina, rispondere a domande che
neanche sapevamo di avere e farcene di nuove (mannaggia), ci danno un La, ci divertono, ci
riportano indietro nel tempo e un sacco di altre cose belle (ma pure brutte). Eccallà, la soluzione:
vorrei semplicemente dare un’idea, un perché sì (un perché no), una situazione in cui leggere quel
determinato libro può essere una finestra per un dialogo con sé stessi invece che sfrantumare in
mille minuscoli pezzi le gonadi degli altri, oppure convincervi che se le cose vanno alla grande
perché dovete andare a pescare libri motivazionali – in caso contrario la responsabilità non è mia.
Roba breve, senza pretese, ma soprattutto senza volermi spacciare per una critica d’alto rango;
quando veniva distribuita l’abilità letteraria io ero in fila da lampredottaro: sono venuta su con
qualche disagio nell’eleganza, ma com’era bòno quel panino.”
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“Nella vita di ognuno arriva prima o poi quel momento in cui
siamo troppo logorroici, troppo felici, troppo paranoici o lamentosi anche per chi ci ha sempre
voluto bene. Di certo non sono io quella che si sostituisce a loro, non ne ho né tempo né voglia e poi
chi vi conosce, ma con questo podcast vorrei trovare una soluzione salvifica che ovvia al problema
di dover tediare amici e parenti. I libri sono un mezzo incredibile se usati con criterio: possono
risollevare gli animi, gettare nello sconforto, accendere l’adrenalina, rispondere a domande che
neanche sapevamo di avere e farcene di nuove (mannaggia), ci danno un La, ci divertono, ci
riportano indietro nel tempo e un sacco di altre cose belle (ma pure brutte). Eccallà, la soluzione:
vorrei semplicemente dare un’idea, un perché sì (un perché no), una situazione in cui leggere quel
determinato libro può essere una finestra per un dialogo con sé stessi invece che sfrantumare in
mille minuscoli pezzi le gonadi degli altri, oppure convincervi che se le cose vanno alla grande
perché dovete andare a pescare libri motivazionali – in caso contrario la responsabilità non è mia.
Roba breve, senza pretese, ma soprattutto senza volermi spacciare per una critica d’alto rango;
quando veniva distribuita l’abilità letteraria io ero in fila da lampredottaro: sono venuta su con
qualche disagio nell’eleganza, ma com’era bòno quel panino.”
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Episodes (20/72)
LE RECENSIONI IGNORANTI
Team malessere 1 o malessere 2? - TWILIGHT (Cosa resta della sua eredità scintillante) di Paola Zanghì e Licia Cascione (Beccogiallo)
Appena uscita da un rewatch - non ancora terminato - con una mia cara amica (con la quale, ora che ci penso, condivido letterariamente e cinematograficamente due colossi “Twilight” e “Orgoglio e pregiudizio”, mica sarà un caso?) mi imbatto in questo saggio serio (ma fa pure ridere) su ciò che ci ha lasciato Twilight: prevalentemente traumi, oserei dire. Solo ora, (dopo anni di concentrazione sugli scarsi effetti speciali) riguardandolo con una consapevolezza sociale, mi accorgo di quanto sia perfettamente inserito nella logica patriarcale per la quale la donna si deve mostrare con le palle in onore al penzolante scroto maschile ma che comunque non basterà perché deve essere protetta (=controllata)e ok le palle ma prima di tutto i suoi scopi nella vita dovranno diventare l’amore, il matrimonio e la procreazione - in quest’ordine. E infatti, Bella, che nasce già di per sé con una serie di traumi inflitti prevalentemente da sua madre, ma pur carica di interessi e sogni, cade v1tt1ma del primo pendaglio che le fa delle lusinghe strutturalmente ben create (tipo tratte dalla letteratura, io la capisco Bella); pure gli uomini però non è che riescano a salvarsi, perlomeno nella visione che ci è concessa di loro: due ragazzi dediti al macismo che devono conquistare il cuore dell’amata Bella (passando anche sopra al rispetto per quest’ultima). Quindi nel 2025, avendo più coscienza della società che ci plasma e che contribuiamo a plasmare - perché è impossibile pensare di esserne indenni, la scintillante eredità di Twilight mi svela molto altro oltre alla bambina fatta al computer o al collo struccato di Carlisle. Ti amo Carlisle. Mi conferma che la letteratura è importante nella crescita di un individuo, che il contesto della sua nascita ci racconta delle idee portate avanti da chi lo ha scritto e non necessariamente la società ha gli strumenti per decodificare le storie (e che palle comunque doverle decodificare). Ma pensare alla me tredicenne che si abitua a credere che l’amore sia essere strattonata da più individui, che l’amore e la risoluzione della vita sentimentale ad ogni costo siano l’obiettivo finale che ognuno dovrebbe avere, cose a cui cedo a credere irrazionalmente tuttora mi fa tenerezza. La consapevolezza non è tutto, ce lo insegnano le nostre sedute dallə psicologə ma è pur qualcosa per involarci tra magari altri 25 anni e vederci fuori da certe dinamiche che sono ancora nostre.
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1 week ago
13 minutes

LE RECENSIONI IGNORANTI
8, 32 - L'ERA DELL'ACQUARIO di Fabio Bacà (Adelphi)
L’era dei Pesci la stiamo salutando adesso. Pare che sia un’epoca guidata dalla gerarchia della spiritualità, a partire dalla nascita delle religioni monoteiste. Alcune testate giornalistiche titoleggiano tutte un grande benvenuto all’era dell’Acquario, un’era di fratellanza, spiritualità e verità interiore. Una ragazza che usciva con un ragazzo con cui uscivo io un giorno gli disse (non so se lui se lo fosse inventato, per rimanere in tema) che io ero vera come un castello di carte, parafrasi: costruita e poco stabile. Questa definizione mi imbizzarrì. Come osava? Come si permetteva di dire di me cosa fossi, che sì e no mi aveva rivolto la parole tre o quattro volte mentre friggevamo coccoli e polenta. Sono passati 10 anni e giusto l’era dell’Acquario mi interroga sul relativismo della verità, riportandomi alla mente questa frase che ai tempi mi colpì tanto - soprattutto perché (forse) uscita dai denti affilati di una sconosciuta. Nella mia storia personale mi scopro indulgente con alcune persone, spietata con altre; accetto le verità di alcuni e trovo il modo di confutare quelle che non voglio suggellare. Ridurre la verità ad una mera “cosa” relativa è una banalità che dopo questo romanzo non ho intenzione di fare: piuttosto credo che la verità sia fluida e ci serva a convivere con la realtà che abbiamo davanti agli occhi - oggi è così, domani ci stacchiamo le cuticole a morsi pervasi dal dubbio. Appiccichiamo la verità sui corpi evidenti, sui corpi nudi, sui corpi non conformi: diamo loro un significato senza porci questioni sul vissuto, sui desideri, sui compromessi; non ascoltiamo le storie che ci vengono raccontate ma pretendiamo che ascoltino le nostre. Le nostre scuse, giustificazioni a come viviamo il mondo. Le storie che ci siamo raccontati per dirci che era chiaro agire in un determinato modo, quelle che ci raccontiamo consapevoli che ce la stiamo raccontando. Diciamo di cercare noi stessi chi nei libri chi nei viaggi chi nella musica, scappare e rifugiarci non salverà nessuno di noi dal crescente e dilagante dubbio su cosa siamo e sull’immagine che regaliamo agli altri. Su dove stiamo veramente al posto di questa congiunzione. Me lo chiedo ogni giorno, soprattutto negli ultimi mesi, dove risieda la verità di certe circostanze così ancora indissolubili dai miei sentimenti, mi chiedo valga la pena cercarla a costo di annientare il mio vissuto più recente e più colpito. Forse la verità potrebbe renderci liberi, ma a costo di quale percorso se permane la nuvolosa, torbida e incombente sensazione del dubbio; a questo punto meglio disegnarla come una scelta - questo sì che potrebbe renderci liberi.
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1 month ago
10 minutes

LE RECENSIONI IGNORANTI
Dalle padelle al cuore - SUGO di Mariachiara Montera (Blackie Edizioni)
L’ultimo compleanno della nonna Maria, sapevo che non avrebbe tratto gioia da alcun regalo materiale se non qualcosa di consumabile, che le avrebbe effettivamente dato una sensazione. Il senso a cui ha sempre dato più importanza, credo, sia sempre stato quello del gusto: l’espressione e il movimento della bocca con cui assaporava i dolci (che non poteva mangiare in quanto diabetica), delle volte con gli occhi chiusi e battendo mano e piede rispettivamente su ginocchio e pavimento sono quelli di una persona che godeva dell’istante della masticazione - non so come altro definirlo. Insomma, le regalo sei Estathè al limone, con la raccomandazione che non deve finirli subito e che al massimo uno al giorno. Era felice ed io con lei. Due giorni dopo non si è svegliata, tre di quegli Estathè al limone sono rimasti nel mobile e vederli mi ha chiuso la bocca dello stomaco. Una cannuccia però l’ho mandata insieme a lei, con la speranza che possa continuare a berne all’infinito.
Per me questo libro è stato principalmente memoria, è stato la spesa alla Conad e da Giordano, l’ortolano di Via Gramsci, è “le pere” intese come “poppe”, sono i calzini comprati fuori dal supermercato per dare qualche spicciolo al ragazzo fuori, è la paura che tutti quei Kinder merendero peggiorassero il diabete: tutto ciò che se ci penso, delinea tuttora i lati principali del mio carattere. Questo saggio è una stanza con finestre infinite, sulla nostra espressione culturale, sociale, emotiva, fisiologica e in questi due giorni mi sono affacciata a tutte, con timore o con coraggio. Ho scelto di riaffacciarmi su quella della memoria perché è quella ancora oggi più dolorosa e credo che sia per questo che quando anche adesso dopo tre anni bevo un Estathè, una parte di me sogna sempre di tornare a quella mano che batte sul ginocchio e a quel piede che batte sul pavimento.
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3 months ago
12 minutes

LE RECENSIONI IGNORANTI
Arrivo dopo i fuochi - L'AMICA GENIALE di Elena Ferrante (Edizioni E/O)
Il primo verso di Paradise circus dei Massive Attack riporta una frase molto discussa dai fan: “It's unfortunate that when we feel a storm/stone, we can roll ourselves over 'cause we're uncomfortable”. C’è chi pensa Storm-tempesta come qualcosa da cui scappare all’infinito, e chi dice Stone-pietra, come qualcosa che effettivamente può rotolare ma che non riesce ad uscire dal disagio, per quello è sfortunato sentirtici, non puoi fuggire. Per me questa diatriba linguistica (che forse ha avuto poi una soluzione, che non intendo ricercare per continuare a filosofeggiare) rappresenta il cuore de L’amica geniale. È difficile descrivere in poche righe l’universo che Elena Ferrante ha creato con grande dovizia, che permea chi lo vive ed è permeato dai suoi personaggi; starci dentro -insieme a loro- per questo mese e mezzo è stato bellissimo, doloroso, illuminante: una storia che fa riflettere su quanto sia nullo il confine tra individuo e società, su quanto il lato oscuro dei sentimenti sia opprimente e totalizzante. Lo definirei - esagerando - un metalibro da quanto è riuscito a farmi riportare nella realtà sensazioni ed emozioni lette in questi giorni - e infatti, come a metà giugno ho iniziato il primo volume come immersa in una nube densa che si andava rischiarandosi, ho finito il quarto che quasi le parole si dissolvevano. Non so che altro dire se non un pubblico ringraziamento alle mie amiche che mi hanno convinta a leggerlo, e poi che sì, avevate tutti ragione: Nino Sarratore è un ommemm3rd.
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3 months ago
19 minutes

LE RECENSIONI IGNORANTI
Da Contessa a 7 MINUTI di Stefano Massini (Einaudi)
Quando i vertici di una qualche azienda si trovano a dover dare notizie grame per i loro dipendenti - che sono gli unici ad avere notizie grame, diciamo che fa ridere che il rischio d’impresa che ha una definizione ben precisa, alla fine sia solo a carico dei dipendenti - hanno di solito un comportamento standardizzato: siamo stati costretti a. Ci siamo assunti il rischio di. O nella migliore delle ipotesi, come nel caso di 7 minuti “Veniamoci incontro”. In che modo nel lavoro CI SI VIENE INCONTRO? In che modo regalare 7 minuti al lavoro rappresenta un modo di VENIRCI INCONTRO? Io a te e te a me? In che modo l’azienda mi verrebbe incontro? Non chiudendo grazie ai miei 7 minuti moltiplicati per tutti i giorni della settimana moltiplicati per tutto il resto dei dipendenti? Una cosa a cui non avevo mai pensato nell’ottica lavorativa è che il mio tempo libero è MIO e di nessun altro, non è una gentile concessione che mi viene fatta dall’azienda per cui lavoro ma tempo in cui non vengo pagata e del quale posso disporre nel modo che preferisco e la sensazione più brutta che ho addosso da qualche tempo a questa parte è che io sono una persona fortunata, perché questo tempo mi viene riconosciuto come tale, perché se mi viene richiesto di lavorare di più vengo pagata di più. E il punto è proprio questo: io non sono una persona fortunata, una miracolata che ha trovato un’azienda che fa le cose come devono essere fatte; il reale benefit della mia azienda è il giorno libero per il compleanno, quello è un lusso vero, un regalo che mi viene fatto con ore non detratte da quelle da me guadagnate. Per il resto, la mia dovrebbe essere la normalità. Quando però vieni tenuto sotto scacco con la minaccia del posto di lavoro, la questione diventa difficile da gestire: soccombere a un piccolo dettaglio come 7 minuti o rischiare di perdere il posto di lavoro? E perché il consiglio di fabbrica deve decidere per tutte le operaie? Per alimentare un meccanismo che ai dirigenti piace molto: loro hanno già deciso, quei 7 minuti li toglierebbero volentieri e fanno leva sul loro potere (tanto si finisce sempre lì) per raggiungere comunque il loro obiettivo, ma scaricano la responsabilità su chi, rispetto a loro, potere decisionale non ce l’ha. Quel gruppo di persone è fatto da chi riconosce la truffa, da chi non la riconosce, da chi la ritiene superabile e da chi invece pur accorgendosene non può far a meno di accettare. Così funziona il lavoro oggi, e se penso al ’68-9 e alle lotte condivise perché non si può stare a sperare che la sfortuna capiti sempre al vicino, mi chiedo come sarebbe un autunno caldo nel 2025, se tutti ci prendessimo le nostre responsabilità, i nostri diritti compreso quello di manifestare e ribellarci senza avere paura che qualcuno ci licenzi, ci meni o ci faccia la gu3rra. Un sogno.
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4 months ago
21 minutes

LE RECENSIONI IGNORANTI
Umano a chi? - K-PAX di Gene Brewer (Accento)
Concludo questo libro con le sensazioni con cui dovrebbe concludersi un buon libro: con sorpresa. Mi capita di rado di partecipare attivamente alle conversazioni tra i personaggi, ma più volte in questa vicenda mi sono trovata a pensare “Te l’ha già detto” “ma come fa ad essere così preciso, forza” “abbandona l’approccio psichiatrico e credigli”. Non è una storia da cardiopalma e colpo di scena, non è una storia di fantascienza, piuttosto racconta della presunzione tutta umana di sapere il massimo dello scibile, di avere la chiave giusta; se dovessi pensare a questo libro come un grafico sarebbe una sinusoide, un saliscendi di certezze che si indeboliscono, poi si fortificano per poi disgregarsi e ricompattarsi. Da fan di Doctor Who - un signore del tempo con sembianze umane e due cuori proveniente dal pianeta Gallifrey - non ho avuto alcuna esitazione a dar fiducia a prot e a ciò che raccontava; credere è un atto di fede e nel rapporto con gli altri spesso tendiamo a dare ascolto alla storia che ci è più familiare e che ci fa impazzire meno, quando ci approcciamo a qualcosa di alieno affrontiamo l’altro con interazioni già conosciute ignorando che ce ne possano essere di diverse, di misteriose, nuove, fresche - del resto siamo umani, cerchiamo forme di vita intelligente nell’universo ma non accettiamo la diversità. prot è un abitante di K-PAX o un paziente psichiatrico che ha inventato una storia quasi convincente? E quanto vale la pena indagare nelle vite degli altri portando avanti la nostra idea?
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6 months ago
13 minutes

LE RECENSIONI IGNORANTI
Io non so parlar d'amore - HOW TO LOVE di Alex Norris (L'Ippocampo)
Amiche e amici, sorpresa! Non è realmente un manuale su come amare. Mi sono piuttosto imbattuta in un adorabile (inteso come da adorare, non come quando si parla dei canini e dei gattini) graphic novel su come accettare me stessa in relazione all’amore, in relazione al non amore, in relazione agli amici. E a cosa serviva un altro compendio su quanto sia necessario prima amare sé stessi che gli altri, su quanto l’amore abbiamo mille facce e mille risvolti se queste cose le sapevamo già tutte? 1) è un libro illustrato, e in questo caso “ti devo fare un disegnino??” è una giusta frase 2) non le sapevamo già, perché nei sentimenti noi siamo come un libro già scritto con tutto ciò che abbiamo assorbito dalle favole e dalle commedie romantiche e poi ogni tanto proviamo a scriverci sopra degli appunti - che però rispetto alla stampa nera di quei modelli così radicati ci scalfiscono, ma non ci colpiscono. Ho poche parole e tutte troppo banali per questo libro, all’apparenza così semplice, ma nel profondo così tenero, dolce, avvolgente, simpatico, chiaro, commovente: lui stesso si presenta come un libro che non può avere la stessa faccia con tutti, perché un libro prende vita nelle mani di chi lo legge, e per me è stato tutti gli aggettivi che vedete sopra. Leggetelo quando ne avrete voglia, amatelo con i vostri tempi e i vostri modi, la sua bellezza starà nel contrasto tra i sentimenti che vi parranno di facile lettura e quella parte di voi restia al pieno senso dell’amore: noi siamo lì nel mezzo! (Ecco perché serve questo graphic novel deve essere conosciuto!)
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8 months ago
15 minutes

LE RECENSIONI IGNORANTI
Tra ghigno e sorriso - KATIE di Michael McDowell (Neri Pozza)
Di solito i titoli dei libri, se proprio devono riportare un nome di persona, è quello dei protagonisti. Katie lo è? Non proprio, lo è come antipodo della dolcissima, benvoluta, onesta, altruista e tanti altri aggettivi bellissimi Philomela: senza di lei non esisterebbe. Per generalizzare, il bene in ciascuno di noi non avrebbe modo di essere individuato se accanto non avesse il male e Katie è semplicemente questo, puro male che mette il suo talento a servizio delle tenebre e come Eleanor in Blackwater ha un’immagine precisa ed è intrisa di poteri malv4gi. Ancora una volta Michael McDowell costruisce una storia completa dove la realtà sociale di fine ottocento fa da sfondo a una storia con un tocco sovrannaturale: si parla di povertà, di condivisione, di fatalità, di efferati cr1mini, dell’ingombrante presenza di Katie anche quando nei capitoli non esiste, anche quando tutto funziona: Katie la aspettiamo fino quasi a desiderarla tessere la sua tela silenziosa intorno all’anima buona di Philo. Eppure siamo persone buone.
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8 months ago
10 minutes

LE RECENSIONI IGNORANTI
Abitarsi - NON ESISTE UN POSTO AL MONDO di Maurizio Carucci (HarperCollins)
Il titolo è aperto, come del resto è aperta la risposta alla domanda che a chiunque è sorta almeno una volta: c’è un posto per me? Banale sarebbe dire che no, non c’è alcun posto, ma Carucci racconta la sua storia di ragazzo di periferia, ragazzo di paesino e uomo di casale e questo rende la risposta più complessa, e facendolo parla di sé stesso, di aspettative, di ambiente, di un sistema in cui siamo immersi, di natura: se penso ad un tour degli Ex-Otago penso a tutt’altro che al silenzio delle montagne, per questo parte di questo libro è tanto spiazzante quanto rivelatrice; perché dovrei dare per scontato che possa essere un fanatico di rumori e persone? Perché diamo per scontato che il posto di qualcuno possa essere uno e uno soltanto; o perché ci aspettiamo dalla vita di trovare il nostro posto nel mondo? Vogliamo un luogo nostro, vogliamo sentirci giusti in un posto, o averne uno giusto per noi. Ci protendiamo fuori da noi cercando sempre una risposta chiara sperando di fermarci un secondo dopo la scoperta, una via definita che ci eviti di guardare quella nebulosa di incertezza, di vuoti, di paure, ma che rappresenta il vero motore di uno slancio costruttivo e che peraltro racchiude la reale possibilità di fermarsi. E respirare. “Un giorno buffo di cielo assolato Ci ritroveremo con un bel sorriso Per aver capito poco Di questo nostro cervello E dell'intero mondo Così complesso Così spericolato”
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10 months ago
12 minutes

LE RECENSIONI IGNORANTI
Sono grande, ho fatto il test! - INGEGNERIA DELLA VITA ADULTA di Giorgia Fumo (HarperCollins)
Per me essere adulta ha un’accezione veramente romantica: uscire da lavoro, improvvisare una spesa alla Coop dietro casa, ma sai che! Prendo anche una schiacciatina per pranzo perché non ho voglia di cucinare. In realtà essere adulti è spendere un sacco di soldi in servizi che non capisci del tutto, destreggiarti nel mercato libero, saperti comportare; per noi - forse, diventare grandi è questo. Chi sta ad un livello di adultaggine maggiore però pensa che dovremmo pensare a riprodurci e a fare lavori veri perché Rachel aveva 24 anni e già viveva da adulta, parlava da adulta e le sue ricadute nell’infantilità erano quasi imperdonabili perché dannazione, aveva 24 anni. UN SACCO DI ANNI per la me decenne che si appropinquava a guardare Friends senza capirne una battuta. Ora ho 7 anni in più di Rachel, non capisco cosa significhi effettivamente essere una persona adulta; so solo che se mi si rompe qualcosa chiamo i miei genitori, gli adulti pro X delle nostre vite. Concludo che forse essere adulti ora è come stare in cucina dopo aver cotto qualcosa alla griglia: stiamo immersi nella nebbia e sembra che ci vada bene così, ci lacrimano gli occhi e non sappiamo dare una spiegazione a questo fenomeno, stiamo provvedendo alla nostra sopravvivenza a tentoni biasimandoci per la scelta culinaria di nuovo perpetrata perché si impuzzolentisce il divano dell’open space, ma se cambiassimo stanza e ci vedessimo da fuori vedremmo delle creature tenere affaccendate in una mansione che sembra basica ma che in realtà sta in equilibrio su lavoro, soldi, solitudine, relazioni, voglia di festeggiare, voglia di dimostrare.
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1 year ago
12 minutes

LE RECENSIONI IGNORANTI
Non cresci più, a tratti è normale - IL MALE CHE NON C'È di Giulia Caminito (Bompiani)
Vorrei esprimermi in maniera migliore su questo romanzo, ma credo che alla fine arriverò a dire soltanto qualche banalità in serie, lontanissima anni luce da ciò che sto provando. Non è un “classico” libro sulla salute mentale; racchiude in sé le cause sociali e familiari che portano a determinate situazioni, alla nascita di quella nostra personale Catastrofe che ci sussurra o semplicemente si mostra presente quando qualcosa di anche irrisorio non funziona. Ogni etichetta a questa storia è riduttiva: c’è una frase che mi rimbomba in testa, la riporto imprecisamente perché bisogna che arriviate anche voi (spero) a sentirla come la sento io. Questa frase è “meglio un giardino con le buche che un giardino esploso”. Il giardino però rimane dilaniato, alla ricerca di qualcosa che non c’è - o meglio, a quel punto c’è, come indica quel “non” in minuscolo che sta contemporaneamente a chiedermi con tenero scherno cosa mi aspettassi di trovare, ma anche a rassicurarmi che esiste in effetti qualcosa che buca il giardino, che l’immaginazione e la paura sono così forti da essere detonatori. Cara catastrofe lo cantava anche Vasco Brondi - Adesso che sei forte, che se piangi ti si arrugginiscono le guance - come se il la percezione del contatto con la realtà fosse irrimediabilmente disastrosa. La catastrofe era addirittura cara, così come ho guardato io Catastrofe per questo Loris al pari dell’armadillo di Zerocalcare, una compagna di viaggio, di vita, da cui è impossibile scindersi.
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1 year ago
11 minutes

LE RECENSIONI IGNORANTI
Jedi e altri eroismi - EROTICA DEI SENTIMENTI di Maura Gancitano (Einaudi)
Di solito scrivo sempre di getto qualcosa dopo aver terminato una lettura e non vorrei che questa facesse eccezione, ma ho un problema: mi piace sempre ripetere l’inflazionata e poetica frase “Sono i libri che leggono me” ma questo un po’ mi ha letto, un po’ mi ha interrogato. Io non so bene come rispondere a questa interrogazione e mi sento molto in difficoltà, tanto che temo non solo di non aver capito, ma anche di non avere soluzione e forse la chiave è proprio questa. Mi chiedo Chi sono? Perché sono così? E poi di nuovo Chi sono? Tutto parte dall’impareggiabile sensazione di inadeguatezza che provo pensando alla mia adolescenza, il momento della vita in cui ho iniziato credo definitivamente a sentirmi sbagliata, eccessiva, drammatica, esagerata, fuori contesto. Perché lo ero? Perché volevo piacere allə altrə e pensavo che fosse l’unico modo, del resto a nessunə interessava una noiosa ragazzina (bruttacchiola) e fissata con la politica e con Pierluigi Bersani. Finora, per altri 16 anni, ho avuto la convinzione che la responsabilità della mia inadeguatezza fosse mia e solo mia; non basta dirmi che il problema non ero io, e anzi, che quello che io consideravo problema non lo doveva essere se non sotto certi aspetti che con un’educazione alla s3ssu4lità probabilmente avrei potuto affrontare con cognizione di causa. Perché non parlavo con i miei genitori? Perché era più facile sentirsi sbagliata? Perché lə adultə erano il male? E adesso IO sono il male? Che non riesco ancora a mettere in fila emozioni, sentimenti e conseguenze o che mi ostino a farlo quando serve a poco? E perché devo sempre mettere in fila? Sembra sciocco pensare che mi ci sia voluto un libro per rendermi conto dell’influenza del contesto sociale su come conduciamo la nostra vita non solo nel pubblico, ma anche nel nostro privato fino al nostro intimo, per riproiettarsi poi fuori. Ma delle volte, le cose ovvie non sono ovvie: non basta dirsi di non essere sbagliatə. Questo ritorno al pubblico lo penso così: ciò che faccio, come agisco, è come quando penso ad una meravigliosa opera d’arte ideata da me. Penso di disegnare uno splendido paesaggio, è nitido nella mia mente, dalle forme ai colori, agli spazi. È tutto così chiaro ma io solo alla fine mi ricordo che disegno di m3rda. E quindi l’opera d’arte che ho disegnato nella mia mente viene fuori semplicemente una m3rd4. Si parla tanto di educazione sentimentale ed emotiva, di come potrebbe migliorare le nostre vite, le nostre relazioni - di qualsiasi natura siano, il nostro modo di abitare il mondo: un percorso così lo si inizia ad elaborare quando accettiamo di essere vulnerabili, incastratə ma al tempo stesso in movimento, in continua metamorfosi e non sempre consapevoli e a maggior ragione padronə di ciò che attuiamo. Non smettiamo mai di essere influenzatə da ciò che c’è fuori, è come se pretendessimo di uscire in inverno in costume e infradito. L’educazione sentimentale ci aiuterebbe a capire perché usciamo tuttə col piumino, anche se sotto rimaniamo sempre e meravigliosamente persone diverse, collegate ma indipendenti.
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1 year ago
18 minutes

LE RECENSIONI IGNORANTI
Cosa rimane alla fine - IL NOSTRO GRANDE NIENTE di Emanuele Adrovandi (Einaudi)
È tutta una questione di tempo: esserci, non esserci. Esserci con la paura di non esserci più. Di sapere che il mondo va avanti anche senza di noi. Pensare alla vita di chi rimane senza di noi, in particolare quella di chi consapevolmente ci aveva scelto, è un giochino m4c4bro che abbiamo almeno una volta fatto quasi tutti (almeno io l’ho pensato): e che farebbero? È credibile che andrebbero avanti, non è che possono stare a rimpiangere per la vita i bei tempi andati. Però, ecco, la questione che ci tocca più da vicino, nel quotidiano, è «E se un giorno scegliesse di andare avanti senza di me, di fatto precludendomi di esistere nel presente nella sua vita?»: quindi diventerebbe un dilemma legato ad una scelta, che a sua volta sarebbe legata allo scorrere del tempo e alla diversa combinazione delle persone che siamo diventate rispetto a prima. A noi interessa? No, a noi del tempo ce ne frega quando ci pare. Perché per quanto le relazioni costituiscano il primo importante tassello nella vita di una persona, la nostra considerazione di noi è profondamente così alta (e non c’entra con l’autostima) che l’idea di essere scartati peserebbe tanto quanto l’idea di non esistere più per una fatalità; e quindi tutto torna a noi, e solo a noi. Ai “non so perché ma ti amo”, al ciclopico senso di importanza che ci dà l’avere qualcosa di speciale con qualcuno, alla pretesa di averlo a tutti i costi - fosse anche ingoiare rospi - al fatto che no, non può essere che sia finito l’amore perché non sono stata IO che l’ho sentito e fatto finire. Per arrivare al tema musicale costituito da There is a light that never goes out, che personalmente ho sempre trovato una canzone così lucidamente folle - e viceversa - che non poteva che fare da contorno in questa storia: finire insieme per appartenersi per sempre. Egoisticamente umano. Un tipo ha recensito questo libro dicendo in maniera abbastanza forbita che era troppo triste (parafraso perché non ricordo): beh, in quanto a mestizia, in tono altrettanto aulico, va in c**o a parecchi, ma cos’altro dovevamo aspettarci? Basil l’investigatopo? Le avventure di Bianca e Bernie?
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1 year ago
17 minutes

LE RECENSIONI IGNORANTI
Giustizia e altri misteri - CESARE BECCARIA CONTRO LA BESTIA di Alessandro Refrigeri (Accento)
Purtroppo di Refrigeri non possiamo dire in nomen omen perché non rappresenta sicuramente una garanzia per il raffrescamento dell’aria. Una volta giocatami questa battuta di spirito vado avanti. Il suo romanzo - che, ammetto, ho iniziato con qualche riserva seppur immotivata - si è rivelato davvero brillante, e diciamolo: si gode a leggere i capolavori conclamati, ma si gode ancora di più di queste sorprese. Praticamente, Cesare Beccaria viene chiamato a Milano a risolvere il caso di una Bestia che sta facendo una carn3ficina tra la popolazione. Hanno tutti perso la testa perché questo n3m1co potrebbe essere ovunque, potrebbe circondarli potrebbero essere molti, potrebbe essere colpa dei circensi, potrebbe essere colpa di chiunque, e nonostante la chiamata dell’illuminista continuano a fare del panico la loro massima guida. Questo romanzo basato su una storia vera racconta di come da sempre l’impeto della paura prevalga sulla ragione, sradicando la giustizia dal suo senso più alto e relegandola a imposizione di una pena, a vendetta più bieca. La giustizia è un’ideale bellissimo, ma si trova a scontrarsi con la religione e con l’essere umano, che di sé stesso e del credo rimane vittima e manipolatore. Quale differenza c’è tra i comizi del 1792 e le notizie enfatizzate, ritoccate, mal raccontate dei media oggi? Quale differenza c’è tra un contadino che imbraccia un fuc1le per la prima volta e un popolo che pensa di poter esprimere ogni idea su un social network? Entrambi agiscono gridando alla libertà, da un giogo e di espressione, ma quanto possiamo parlarne se poi ne vengono fatte le spese in maniera vi0l3nta e discr1min4toria?
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1 year ago
10 minutes

LE RECENSIONI IGNORANTI
Procrastinare - ONE DAY di David Nicholls (Neri Pozza)
Un giorno in che senso? Nel senso di un giorno: il 15 luglio? Nel senso di Forse un giorno? Un giorno nel futuro allora Emma e Dexter. Stai lì a guardarli mentre si pensano da lontano, mentre si vorrebbero raccontare la vita, le giornate e fra sé e sé si confessano innamorati e dici Ma perché non ve lo dite. Perché funziona così, quando una cosa è troppo bella l’idea di modificarla è terrificante, ma cosa ma ormai siamo amici da una vita ma figurati se. E quindi accontentarsi diventa meglio perché si sta bene comunque ma si prendono due strade separate, ci si perde anche di vista ma ci si pensa lo stesso: tutto delle strade, dei discorsi, ti ricorda l’altra persona. Un giorno nel futuro Emma e Dexter, Dexter e Emma - così ovvio per tutti, ma così divertente che poi ci si dimentica del dubbio e si passa oltre, alla prossima relazione, al prossimo lavoro, alla prossima vita, anche se quella lucina in fondo rimane sempre a puntarti gli occhi e ti acceca perché esiste. Un giorno per diciannove anni, Emma e Dexter si incontrano e si perdono, sembra che sia tutto l’anno, tutta la vita, ti arrabbi perché li vorresti insieme da subito, perché il romanzo è tipo la vita vera, che prima di sminchiare qualcosa ti tieni il bello della complicità che c’è. Non ci si pensa che poi magari è tardi, ma pentirsi in futuro non è come pentirsi ora, e lasciamo correre: carpe diem esiste solo nelle storie degli altri, nel frattempo un giorno forse.
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1 year ago
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LE RECENSIONI IGNORANTI
Un regalo di compleanno - A PANDA PIACE...CAPIRSI di Giacomo Keison Bevilacqua (Gigaciao)
Ho sempre passato il tempo pensando a quello che mi mancava. Ma che dico…passo il tempo pensando a quello che mi manca. Quello che mi manca come persona, quello di cui penso di aver bisogno. Questo graphic novel l’ho comprato al Salone del libro e l’ho lasciato nella mia libreria a parlarsi con gli altri, fino al momento in cui ho capito che VOLEVO leggerlo. Riguardando i miei ultimi quattro anni vedo un’onda che si alza e si abbassa, vedo una me che reagisce e una me che si chiude a riccio lasciando tutti fuori. Vedo una me che si riprende i suoi spazi (ci prova) e poi li riperde nel caos della quotidianità, perché le priorità erano altre. Giacomo Keison Bevilacqua ha messo nero su bianco la sua esperienza, e non esiste niente di più prezioso al mondo: del resto quando dobbiamo fare un viaggio chiediamo consigli a chi c’è già stato, e perché non dovremmo fare lo stesso con altre tematiche che ci riguardano non tanto da vicino, quanto da dentro? Riguardando questi ultimi quattro anni, ho smesso per lunghi periodi di credere alla felicità, ho aspettato che ogni giorno si presentasse il pensiero intrusivo quotidiano finendo per crearlo, ho smesso di pensare che sarebbe arrivato un momento in cui sarei stata bene, ho finito per non uscire più, non confrontarmi più, ho iniziato ad avere delle ossessioni e degli atteggiamenti compulsivi che manovravano ogni mio gesto. Ci sono stati momenti in cui ascoltavo il mio corpo come se mi stesse tradendo. La prima volta che un amico mi ha tranquillizzato sulla respirazione era il 2020: gli dicevo che non riuscivo a respirare bene, che il fiato si bloccava, che avevo il fiatane e non riuscivo a soddisfare il mio bisogno di inspirazione. Mi ha risposto che il diaframma è un muscolo, e come tutti i muscoli con l’ansia si irrigidiscono e mi consigliò degli esercizi per sbloccarlo (grazie Alessandro). Però una volta capito questo sono iniziate altre sensazioni: le extrasistole, i giramenti di testa e altre cose poco piacevoli alle quali davo un peso enorme. Il mio medico mi ha chiesto se soffrissi di ansia e attacchi di panico. Ritrovo tanto di me in questo graphic novel, che non mi avrà risolto la vita, ma che si costituisce come un tassello che posso riprendere sotto mano ogni volta che vorrò e avrò bisogno (alcuni esercizi ho già iniziato a metterli in pratica). Negli ultimi quattro anni ho dato così tanta importanza a ciò che non ho e che ho perso, che l’unica cosa che realmente ho perso ero io, la mia curiosità, la mia luce, le mie risate sgangherate (un po’ le ha portate via la nonna quando se n’è andata), e pure ho perso di vista tutte le cose belle che mi sono successe e che ho creato, quindi adesso ne elencherò alcune in ordine sparso solo per la gioia di scriverle: sono tornata dallo psicologo, sono stata vicino ad una persona che mi ha cresciuto e che ho potuto festeggiare letteralmente fino al suo ultimo giorno, ho comprato casa, ho ripreso a frequentare i miei amici, ho accettato la fine di una relazione che non poteva funzionare, ho creato questo podcast con l’aiuto di persone meravigliose, ho avuto un nuovo ruolo a lavoro, l’altro giorno ho fatto una risata fortissima, ho deciso di andare al parco nel mio giorno libero, mi sono trasferita, ho ritrovato persone che non sentivo da anni, ho conosciuto persone che mi hanno arricchito. La strada è ancora lunghissima, ad esempio non diventare l’etichetta che mi viene affibbiata dalle altre persone, non caricarmi di ciò che gli altri pensano che io sia, volermi bene (che retorica, ma che verità), perché ha ragione il mio psicologo: quando non rimane nessuno, rimango io. La strada è ancora lunghissima e io ho una paura cane dei momenti che saranno di nuovo oscuri, ma pensare che potrò avere la consapevolezza di rendere questo buio meno buio, arredarlo e poi uscirne, mi tranquillizza. Speriamo bene, con fiducia.

My mind is open wide And now I’m ready to start.
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1 year ago
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LE RECENSIONI IGNORANTI
Ipocondriaci emotivi - IL CUORE NON SI VEDE di Chiara Valerio (Einaudi)
Conosco una persona il cui cuore è solo un’ombra, che vive in apnea e digerisce male. È una persona a cui voglio molto bene, il cui cuore so essere stato pulsante: adesso sono io che provo ad essere il suo cuore, perché mi innalzo con superbia a volerne interpretare la parte. Il muscolo incaricato di amministrare le relazioni non funziona come dovrebbe, si è annichilito e poi è sparito e in questo modo lascia tutto in freeze; si lascia guardare, studiare, si lascia sgridare a colpi d’ira, forse a volte vuole capire e ricordare è ciò che spera lo riaccenda - con nessun risultato. Forse a volte capisce che una scomparsa è l’unica via possibile per una ricreazione, ma se ci si sofferma troppo il cuore mancante corre veloce verso i pensieri facili: la memoria, appunto. Il cuore continua a non esistere perché esistere con difficoltà è più complesso che non esistere proprio, come tutti gli ostacoli che si frappongono fra noi e il futuro. Stare nel passato non si può, e ciò che verrà è incerto, quindi rimaniamo fermi, magari aspettando di essere salvati ma probabilmente ancora di più aspettando di scomparire del tutto. Il paradosso è che la scomparsa vibra nelle persone che la vivono indirettamente e a questo non c’è soluzione senza che si sgretolino piano anche loro, perdendo il cuore che hanno provato a prestare e che non hanno saputo come rimpiazzare - protagoniste di una storia in cui sono capitate loro malgrado.
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1 year ago
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Ambiente: siamo il problema (ma anche la soluzione) - POSSIAMO SALVARE IL MONDO, PRIMA DI CENA di Jonathan Safran Foer (Guanda)
Perdonatemi se non sarò all’altezza di un argomento così, perché è spinoso, perché si attacca alla quotidianità di ognunə di noi, perché graffia la nostra superficie e lacera la tranquillità in cui vorremmo vivere. Oppure distrugge il benessere emotivo nato da una colpa “in seconda”: sì, potrei fare qualcosa ma finché chi sta meglio di me non lo farà, è inutile che mi muova. Parlare di cambiamento climatico è noioso, ripetitivo, ci diciamo sempre che abbiamo superato il limite; quindi perché darsi tanta pena? Ma che significa darsi pena? Cosa significa sacrificio nella nostra società? Per la regola del più abbiamo e più vogliamo, ogni cosa che siamo chiamati a togliere diventa un sacrificio pure se non è essenziale per la nostra sopravvivenza, e la nostra poca vocazione al sacrificio poi va a gravare sulla sopravvivenza di chi il nostro privilegio non lo ha. E ci interessa? Prevalentemente no, finché non saremo noi quelli a rischio sopravvivenza. Che la Terra fosse un gioiello da preservare e curare lo capirono gli astronauti dell’Apollo 11 quando la videro dalla luna: una palla sospesa nel vuoto, brillante nel buio totale. Siamo nel pieno di una crisi ambientale e ancora facciamo i confronti con i decenni passati senza considerare i progressi industriali e dei nostri stili di vita. Proviamo a raccontarci che non è ancora tutto perduto, qualcuno che non saremo noi a vivere la vera Apocalisse, ringraziando di essere morto per quando avverranno cataclismi ben peggiori di quelli che viviamo adesso. Ma la verità è che ne siamo tutti consapevoli, ma troppo vigliacchi per cambiare il nostro stile di vita fatto di diversi viaggi in aereo all’anno, di braciate, di allevamenti intensivi, di ordini online che devono arrivare nell’arco di 24 ore, di moda a basso costo. Ma Foer tutto questo lo dice con la freddezza di chi fa ancora parte dei consapevoli colpevoli; ci dice che nessunə è un eroe capace di quasi azzerare il proprio impatto ambientale, ma in ogni battaglia c’è bisogno della partecipazione di tuttə e il modo più facile per prendere una posizione a favore dell’ambiente è ridurre drasticamente il consumo di prodotti di origine animale. Io, grande consumatrice di Kinder pinguì, continuerò a concedermeli quando mi andranno, seppur limitandone l’acquisto. Percepirò il cambiamento in maniera tangibile? No. Supporterò qualcuno a farlo? Sì. Siamo d’esempio per lə altrə, e non smettiamo di farci ispirare.
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1 year ago
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Una domanda che dovrei farmi - PENSI DI STARE MEGLIO? di Edo Massa (Minimum Fax)
No, non oserei mai. Figurati. Ho pianto mentre ridevo, o meglio, ho riso mentre piangevo. Le due cose sono un po’ diverse anche se cambia solo l’ordine degli addendi. Apparentemente uguale, se Camillo ha 5 mele e poi ne compra altre 3, oppure ha 3 mele e poi ne compra altre 5, sono sempre 8. Ma è il bisogno delle mele che cambia, non so se mi spiego: al secondo Camillo tre mele non bastano proprio, tant’è che ne compra non altre 3, ma 5, ed evidentemente io avevo più bisogno di piangere fiumi di lacrime. Spero di essere stata chiara. Al di là delle vignette riderecce sulla difficoltà di condividere le emozioni, soprattutto se ne nella società sei chiamato a rappresentare la figura statuaria dell’uomo™️, la gestione delle emozioni è qualcosa che finché non ti trovi in un burrone pensi che sia una fanfaronata da femmine e pure da femmine senza self empowerment (aggiungo io). Gestire le emozioni, arrabbiarsi con criterio, soffrire guardando al futuro son quelle cose da compito a casa che non trovano applicazione nella realtà: complicare i comportamenti - invece - fa parte della realtà. In questo graphic novel si intrecciano la vita reale, la vita immaginata, la vita temuta, le relazioni reali, immaginate, temute; un invito a guardare dentro sé stessi per imparare a rapportarsi con gli altri, un piccolo diamante per ritrovare le grosse piattaforme salvagenti sparse nell’oceano dei dubbi e delle insicurezze, frasi che sembrano fatte, pensieri che sembrano banali ma che fanno rifiorire, il tutto tra un molto virile e poco collaborativo Batman e una molto fiscale e poco inclusiva Queer police. Tutto racchiudibile in una metafora che ho amato: sta meglio chi ca*a o chi sta a guardare?
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1 year ago
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L'ottimismo è il profumo della vita - MORIREMO TUTTI, MA NON OGGI di Emily Austin (Blackie Edizioni)
Sono quel tipo di persona che per aprire questo libro - e per scrivere queste parole - ha dovuto fare un difficile passo: per prima cosa ho paura di stuzzicare il destino e poi sapevo che mi sarei imbattuta in una personalità molto familiare. Tante volte da piccola, ma anche adesso, penso alla fine del mondo e penso alle bare che volteggiano nell’universo - penso alla fine di tutto. Tipo anche “che ne sarà dei libri” o anche “ma le persone che conosco adesso le ritroverò in un’altra vira” “esiste un’altra vita. Sono quel tipo di persona che prima di pensare al proprio stato emotivo pensa a risollevare e preservare quello altrui, sono una tartaruga che ritira testa e gambe nel suo guscio ma che silenziosa osserva il mondo. O almeno credo. A tanta gente dire di essere così suonerebbe strano, perché una vera azione positiva verso gli altri non c’è mai, c’è sempre, boh, la speranza, la parola, un abbraccio nella testa e un’infinita tristezza quando vedo dell’infelicità. I gesti gentili nei miei confronti mi fanno piangere, le parole gentili nei miei confronti mi fanno piangere. L’altro giorno ho scritto alla mia libraia che forse non sarei andata ad un incontro perché avevo passato una pessima notte - e una pessima mattina: se qualcuno fosse rimasto senza posto, che cedesse pure il mio di fronte alla certezza di un’occupazione. Mi ha risposto dicendo “per te un posto ci sarà sempre” e io ho pianto ancora di più, in macchina da sola e in coda per entrare a lavoro, perché dare valore allo spazio che una persona occupa la avvolge di un bene e di una consapevolezza di esistenza che non sempre è limpida. Questo è un po’ il punto di questa storia: dare e ricevere conferma del valore del nostro spazio occupato; non tanto scegliendo la felicità come suggeriscono frasi instagrammabili di persone che hanno fortemente voluto la felicità attraendola - la felicità non sempre è una scelta - ma ascoltando e riconoscendo le nostre azioni nel mucchio di tutta la discarica di pensieri che abbiamo nel cervello, lasciandoci ascoltare da chi vuole farlo e accettando con serenità che sì, anche noi siamo importanti per qualcuno. Non è vero che si riparte sempre da noi stessi e da noi da soli. Delle volte si riparte dagli altri e dalle mani che ci vengono tese in aiuto.
«Ecco, te lo ricordi quel vuoto assoluto tutto intorno? E la paura - il terrore - che un posto per te forse nel mondo non esiste?» «Be’, bada bene ora, io sono un difensore dell’inalienabile diritto alla lagna, eh. E toglierei i diritti civili a chi ti caca il cazzo con i vari “c’è chi sta peggio”. Però ecco… Magari ricordare la strada che hai fatto per arrivare a questo punto…ti aiuta a camminare col cuore più leggero» Zerocalcare, Chiccazzomelaffattofa’
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1 year ago
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LE RECENSIONI IGNORANTI
“Nella vita di ognuno arriva prima o poi quel momento in cui
siamo troppo logorroici, troppo felici, troppo paranoici o lamentosi anche per chi ci ha sempre
voluto bene. Di certo non sono io quella che si sostituisce a loro, non ne ho né tempo né voglia e poi
chi vi conosce, ma con questo podcast vorrei trovare una soluzione salvifica che ovvia al problema
di dover tediare amici e parenti. I libri sono un mezzo incredibile se usati con criterio: possono
risollevare gli animi, gettare nello sconforto, accendere l’adrenalina, rispondere a domande che
neanche sapevamo di avere e farcene di nuove (mannaggia), ci danno un La, ci divertono, ci
riportano indietro nel tempo e un sacco di altre cose belle (ma pure brutte). Eccallà, la soluzione:
vorrei semplicemente dare un’idea, un perché sì (un perché no), una situazione in cui leggere quel
determinato libro può essere una finestra per un dialogo con sé stessi invece che sfrantumare in
mille minuscoli pezzi le gonadi degli altri, oppure convincervi che se le cose vanno alla grande
perché dovete andare a pescare libri motivazionali – in caso contrario la responsabilità non è mia.
Roba breve, senza pretese, ma soprattutto senza volermi spacciare per una critica d’alto rango;
quando veniva distribuita l’abilità letteraria io ero in fila da lampredottaro: sono venuta su con
qualche disagio nell’eleganza, ma com’era bòno quel panino.”